Attorno alle auto elettriche si sente discutere sempre più di frequente, e sempre più modelli escono sul mercato e popolano le strade. Tra scettici e ottimisti si è alimentata nel tempo una discussione condita da falsi miti e verità. Le auto elettriche inquinano di più delle auto con motore endotermico? L’autonomia è sufficiente per affrontare lunghi viaggi? Cerchiamo di fare chiarezza, dati alla mano, tra le fake news più diffuse sulla mobilità sostenibile a quattro ruote.
La transizione verso i mezzi di trasporto ad emissioni zero procede, con velocità alterne, in tutti i Paesi dell’Unione Europea. D’altronde la decisione è ormai stata presa e non si torna indietro: il Parlamento Europeo ha deciso che dal 2035 non si potranno più immatricolare veicoli nuovi alimentati da fonti non rinnovabili. Quindi stop alle automobili a diesel e benzina, ma anche a quelle ibride. Al momento infatti l’unica alternativa che rispetta questi criteri (zero emissioni) sono gli EV (Electric Vehicles): le auto elettriche. È vero che sono in corso diversi studi su carburanti alternativi, come gli e-fuel e i biocarburanti, che possano sostituire diesel e benzina e fornire un’alternativa a zero emissioni alle auto elettriche. Per il momento, però, quella dei motori alimentati da batterie ricaricabili è l’unica strada che è già diventata realtà, suscitando non pochi dubbi e scetticismo.
Le prime auto elettriche moderne hanno fatto il loro esordio in Italia ormai più di 10 anni fa, eppure la loro diffusione è ancora molto limitata. Tra i motivi per i quali il pubblico italiano non è ancora stato convinto dalla transizione all’elettrico ci sono sicuramente dati reali, ma anche tanti falsi miti che si sono costruiti nel corso degli anni, ma che non tengono conto dell’evoluzione e dell’innovazione che ha coinvolto questo tipo di tecnologia. Ad esempio tra i dubbi più frequenti c’è quello sull’autonomia, ma le batterie più moderne consentono ad un’automobile di medie dimensioni di avere un’autonomia che sfiora i 500 km. Senza contare che la rete delle colonnine di ricarica sta diventando giorno dopo giorno più capillare, e consente di pianificare senza fatica anche viaggi lunghi con soste brevi per la ricarica delle batterie.
In realtà il numero di incendi in rapporto al parco auto circolante è maggiore nei veicoli a combustione rispetto a quelli elettrici. Gli incendi che coinvolgono le autovetture sono comunque in calo negli ultimi anni (come si evidenza nel rapporto presentato ogni anno dal Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco che include i dati sulle autovetture coinvolte in incendi) e la percentuale di auto elettriche sul totale del parco auto (0,3% nel 2021) è troppo bassa per verificare un’incidenza sul numero di autovetture coinvolte in incendi.
Esiste uno studio della Commissione europea che riporta il numero di incendi in cui siano stati coinvolti veicoli elettrici registrati in 5 stati europei (Danimarca, Paesi Bassi, Norvegia, Svezia e Finlandia).
Il valore medio più elevato registrato è di 65 auto ogni 100.000 in Danimarca, mentre il più basso è di 5 auto ogni 100.000 in Finlandia, negli anni che vanno dal 2015 al 2020. Se paragoniamo questi valori con la percentuale di veicoli (sia elettrici che a combustione termica) coinvolti in incendi in Italia negli anni 2020/2021 otteniamo un valore di circa 36 auto ogni 100.000 e ci attestiamo esattamente a metà tra i valori ottenuti in Europa. Questo dato evidenzia che gli incendi legati a veicoli elettrici non presentano un’incidenza maggiore. Bisogna però sottolineare che il dato è più variabile essendo il numero di veicoli elettrici decisamente inferiore rispetto a quello dei veicoli a combustione.
Come si estingue l’incendio di una batteria?
L’incendio di una batteria non si estingue facilmente come quello di un combustibile tradizionale, perché si tratta di una reazione fra metalli, per certi versi simili a quella della termite. Non si estingue né privandola di ossigeno né con acqua, e le temperature sviluppate sono molto alte.
Le linee guida dei vigili del fuoco sulla combustione delle batterie al litio consigliano di utilizzare l’acqua per raffreddare il pacco batteria in fiamme ed evitare che l’incendio si propaghi, anche se ne serve in grande quantità. Quindi se una batteria inizia a fumare (anche quella di uno smartphone o di un powerbank) occorre staccarla dall’alimentazione e immergerla o inondarla di abbondante acqua. Non funzionerà più, ma eviteremo la diffusione dell’incendio.
Per considerare l’impatto ambientale di un’auto bisogna valutare l’intero ciclo di vita del prodotto (dall’estrazione dei materiali, alla produzione, la fase d’uso, fino allo smantellamento a fine vita). Come si vede dai test Green NCAP, ovvero l’analisi dei veicoli da un punto di vista ambientale l’analisi del ciclo di vita di un’automobile elettrica non dipende esclusivamente dal modello in sé, ma è legata anche alle caratteristiche tecniche del veicolo e a come è prodotta l’energia elettrica con cui la si ricarica: in che percentuale proviene da fonti rinnovabili e in che percentuale da fonti fossili.
La fase più inquinante del ciclo di vita di un’auto elettrica è quella della produzione, in particolare delle batterie, e del loro smaltimento a fine vita. Per le auto tradizionali invece è la combustione del carburante durante la guida la fase più responsabile dell’impatto ambientale. Un primo criterio importante è quello delle dimensioni: le vetture piccole sono quasi sempre migliori delle grandi, perché pesano di meno, consumano di meno e richiedono batterie più piccole.
Per quanto riguarda la “sfida” tra termico ed elettrico, nel test Green NCAP l’auto elettrica ha un impatto molto minore sulle emissioni di gas serra lungo l’intero ciclo di vita: circa il 30 % in meno degli altri mezzi. Il maggior ricorso a un’energia pulita permette di ridurre le emissioni di anidride carbonica e degli altri gas serra.
Va ricordato comunque che anche per le auto a combustione si stanno studiando alternative alle fonti fossili, come i biocarburanti e gli e-fuels, grazie ai quali è possibile una riduzione delle emissioni di CO2, anche se restano degli impatti ambientali da valutare.
Perché passare all’elettrico se i nuovi motori diesel e benzina inquinano poco?
Per quanto si siano fatti passi avanti e i nuovi motori alimentati da diesel o benzina siano più efficienti e meno inquinanti, anche utilizzando combustibili di nuova generazione si hanno inquinamento e produzione di gas serra superiori con i motori a combustione rispetto ai motori elettrici.
Inoltre, occorre ricordare che l’efficienza di un motore elettrico si aggira tra l’80% e il 90%, più del doppio del motore endotermico più efficiente (quella di un veicolo a benzina si ferma al 30% e non supera il 40% per il diesel). Parte dell’efficienza però serve a compensare l’aumento di massa dei veicoli a causa del peso delle batterie elettriche. A parità di modello di automobile, si deve aggiungere oltre 300 kg di batterie per un’elettrica per consentire una discreta autonomia. Aumenta quindi la forza spesa per accelerare così come l’attrito volvente. Parte dell’energia viene recuperata in frenata.
Secondo la normativa che regolamenta le emissioni dei veicoli euro 6, per i veicoli a benzina i limiti di emissione sono: CO = 1 g/km; Idrocarburi (HC) = 0.1 g/km; NOx = 0.06 g/km e PM = 0.005 g/km. Per i veicoli diesel sono: CO = 0.5 g/km; HC+NOx = 0.17 g/km; NOx = 0.08 e PM = 0.005 g/km. Non è indicato un valore di CO2 che comunque dipende dall’efficienza dell’auto ed è intrinseco nel processo di produzione, tanto più carburante va incontro a combustione tanta più CO2 sarà emessa, considerando che in un processo di combustione completa di idrocarburi gli unici prodotti della reazione sono CO2 e H2O. Dal momento che in aria non è presente solo ossigeno ma soprattutto azoto e sia la benzina che il diesel non sono puri, ci saranno sempre oltre all’emissione di CO2 l’emissione di scarti di combustione non completa che consistono in NOx, CO e Black Carbon. Tali emissioni sono mitigate da sistemi di abbattimento che comprendono convertitori catalitici per i motori a benzina, trappole per gli NOx e filtro antiparticolato per i motori diesel.
Questo mostra che pur essendo diminuito notevolmente l’impatto dei motori diesel e benzina dalle prime normative euro1, restano comunque associate delle emissioni dirette all’utilizzo di questi motori.
Si possono smaltire le batterie delle auto elettriche?
Sono processi ancora costosi, ma le batterie elettriche possono essere recuperate e riutilizzate, se non in toto almeno per una parte dei loro componenti. Inoltre si suppone che la tecnologia diventerà sempre più economica, anche grazie alle normative europee che prevedono tassi di recupero crescenti dei materiali. Gli obiettivi dalle nuove regole UE prevedono il 63% di recupero entro il 2027 e il 73% entro il 2030. Secondo l’UE il livello di recupero al 2021 si attestava al 47,9%.
Secondo questa direttiva sono normati i quantitativi di mercurio e cadmio all’interno degli accumulatori. Inoltre, all’interno degli accumulatori sono presenti degli elementi (cobalto, nichel, manganese, litio) che oltre a essere impattanti a livello di smaltimento lo sono anche a livello di approvvigionamento, sia in termini sociali che ambientali. Tramite questa regolamentazione si intende obbligare i produttori a garantire tutto il processo produttivo delle batterie elettriche. Inoltre, i livelli minimi di cobalto recuperato (16%), piombo (85%), litio (6%) e nichel (6%) dai rifiuti di produzione e di consumo devono essere riutilizzati nella produzione di nuove batterie.
Secondo uno studio del Politecnico di Torino al 2030 mantenendo l’attuale capacità di riciclaggio delle batterie a ioni di litio potrà essere riciclato il 78% delle batterie a fine vita, con un’efficienza di raccolta del 90% di rame, cobalto, nichel e manganese, 87% di alluminio, 42% di litio e 35% di ferro. Emettendo durante il processo di riciclo un totale (a livello europeo) di 3.7 Mt di CO2 eq. con un consumo in energia di 33.6 GWh.
Nel dettaglio, per il riciclo e conseguente recupero di materiali dalle batterie esauste esistono due principali tecniche: la “pirometallurgia” e l’”idrometallurgia”.
La prima consiste in un processo ad alta temperatura, che richiede dunque un grande dispendio di energia, per separare i metalli dalle restanti componenti della batteria sotto forma di leghe metalliche, che successivamente saranno trattate per separare i vari elementi. Tramite questo processo non vengono recuperate le componenti organiche e neanche il litio. Questo processo diventa inoltre economicamente dispendioso anche per la gestione dei fumi tossici prodotti dalla decomposizione delle componenti organiche.
La seconda tecnica consiste nella separazione di elementi tramite utilizzo di acidi, in questo modo i metalli precipitano sotto forma di sali o idrossidi, da cui poi verranno estratti i metalli per essere riutilizzati. Anche in questo caso subentra un processo delicato per il trattamento delle sostanze acide residue alla fine del processo.
Le batterie agli ioni di litio possono essere costituite da diversi elementi che contengono determinate sostanze organiche e determinati metalli, per cui in base al caso specifico una tecnica di riciclo può essere più appropriata dell’altra, in alcuni casi è necessario un primo trattamento di pirometallurgia seguito da un secondo di idrometallurgia.
Sempre dai dati raccolti nello studio del Politecnico di Torino si evidenzia che non tutti gli stati europei hanno le capacità per riciclare batterie agli ioni di litio. In Italia non esistono (alla data della pubblicazione dello studio, aprile 2023) impianti adibiti a tali trattamenti e gli stati europei con maggiore capacità sono Germania, Francia e Belgio.
Infine, una valutazione dei costi di smaltimento e di ricavo dalle materie recuperate porta a un potenziale ricavo tra i 1000€ e i 1200€ per tonnellata.
L’autonomia di un’auto elettrica è sufficiente per viaggi lunghi?
Grazie a batterie sempre più efficienti e capienti, le auto elettriche hanno ormai autonomie anche molto elevate. Ad esempio le auto piccole presenti nel nostro selector che hanno batterie con capacità di poco inferiori ai 50 kWh (48,1 kWh, potenze di 100 kW) garantiscono autonomie medie tra i 250 e i 300 km. Le auto di dimensioni medie hanno invece batterie dalla capacità più elevata (64 kWh e potenze di 150 kW) con autonomie medie tra i 400 e i 450 km. Si parla di autonomie medie poiché i consumi dipendono fortemente dallo stile di guida, dal tipo di percorso, dl peso del veicolo, così come accade per i motori termici. Più veloce si guida minore sarà l’autonomia, maggiori sono le accelerazioni più frequenti saranno le ricariche, così come lo sono i rifornimenti sulle auto tradizionali.
Ci sono altri fattori che influenzano l’autonomia, come ad esempio il caldo ed il freddo. Questo perché mantenere la batteria e il conducente a una temperatura ottimale richiede un consumo energetico: l’energia viene utilizzata per riscaldare/raffreddare l’abitacolo, ma anche per evitare malfunzionamenti della batteria che non deve surriscaldarsi. Con i motori endotermici riscaldare l’abitacolo durante l’inverno è praticamente a costo zero poiché si sfrutta la temperatura del motore, mentre in estate i consumi ci sono e possono arrivare a al 9% del totale.
Nelle auto elettriche più efficienti si utilizzano delle pompe di calore per il riscaldamento, come questa installata sui modelli Volkswagen che sfrutta il principio termodinamico per cui un gas compresso si scalda. Questo calore viene sfruttato per scaldare l’aria, spinta poi nell’abitacolo. Dopo aver scambiato calore il gas condensa e successivamente assorbe calore dall’ambiente esterno, sfruttando anche le piccolissime dispersioni di calore all’interno di un motore elettrico (non sufficienti per scaldare l’abitacolo ma funzionali all’efficientamento della pompa di calore), a questo punto torna ad essere gas e il ciclo ricomincia. Queste pompe di calore sono comunque un optional, anche molto costoso (circa 1200€).
In questo studio l’ADAC ha condotto dei test in una camera refrigerata a -10°C. Hanno valutato che a temperature davvero basse la pompa di calore non è molto più efficiente dei tradizionali metodi di riscaldamento. Una buona strategia per diminuire i consumi è l’utilizzo del sedile e del volante riscaldato, perché rendono l’utilizzo del veicolo più confortevole pur non riscaldando tutto l’abitacolo e quindi risparmiando energia.
In conclusione, in inverno il consumo di energia su un’auto elettrica può aumentare fino al 30%, tra la necessità di mantenere le batterie oltre una certa temperatura e il riscaldamento dell’abitacolo. Inoltre, numerosi viaggi brevi sono molto più dispendiosi energeticamente rispetto a un numero minore di viaggi lunghi, perché ogni volta occorre riscaldare l’abitacolo e la batteria.
Il costo della ricarica di un’auto elettrica dipende da diversi fattori, come la velocità di ricarica e la fonte di approvvigionamento dell’energia. Se ad esempio si produce energia con i pannelli fotovoltaici il pieno è gratis, se si utilizza una wallbox si paga in base al contratto sottoscritto con il proprio provider.
Se invece si ricarica alle colonnine, bisogna prestare attenzione alle tariffe ed è possibile risparmiare con i pacchetti ed evitando le ricariche fast.
Oggi l’energia elettrica costa leggermente meno e generalmente si ha il costo dell’energia senza sovrapprezzi per ricariche lente fino a 11 kW mentre per le ricariche più veloci fino a 22 kW il costo varia da 0.40 a 0.72 €/kWh. Parlando di ricarica veloci, da 50 kW fino a 350 kW, il costo va da 0.45 a 0.79 €/kWh fino ad arrivare alla ricarica ultra fast di A2A che ha un costo di 0.95 €/kW.
Prendendo ad esempio l’Opel Corsa dal nostro selector, sia in versione EV (elettrica) che ICE (con motore endotermico) si ha un consumo medio di 18.8 kWh/100km per la versione ICE mentre dal costruttore viene indicato un consumo massimo di 5,4 l/ 100km per la versione con motore endotermico. Con un costo medio del carburante di 1,8€/l percorrere 100 km costa circa 10€, mentre 100 km in elettrico costano 7,5€ per le ricariche più lente fino ad arrivare a circa 18€ per la ricarica ultra fast. Ovviamente il vero costo dipende anche da altri fattori, come lo stile di guida.
Il problema del degrado della batteria è un aspetto fondamentale per le auto elettriche. Col passare del tempo la capacità di carica diminuisce, di conseguenza diminuisce l’autonomia e quindi la necessità di ricaricare diventa più frequente.
Secondo uno studio ISPRA del 2021 le batterie vanno incontro a degrado dovuto sia dall’invecchiamento sia dai cicli di carica e scarica. Quando un’auto elettrica non viene utilizzata per parecchio tempo, il degrado della batteria è legato principalmente alle basse e alte temperature che questa può raggiungere in determinate condizioni ambientali. Infatti, ad auto spenta non sono attivi i controlli di temperatura che mantengono la batteria all’interno di un range ottimale per la sua conservazione nel tempo. Questo ovviamente dipende molto anche dalle diverse temperature che si possono riscontrare nell’ambiente esterno, molto diverse se siamo in città, al mare o in montagna. In città come Modena e Firenze, dove è stato ipotizzato lo studio, 5 anni di invecchiamento portano ad un degrado medio del 20% della capacità della batteria, e una conseguente diminuzione dell’autonomia.
Nelle stesse città, in 5 anni di ciclo di carica e scarica con la batteria mantenuta in condizioni favorevoli, si ha anche un degrado che va dal 4% all’8% in relazione al chilometraggio annuo, dai 6000 km fino ai 18000 km.
Un degrado combinato dei due fattori porta ad una diminuzione della capacità dopo 5 anni di circa il 13-14%. E di circa il 25% dopo 10 anni.
Parlando invece della garanzia sulle batterie, la maggior parte dei costruttori si è allineata ad una copertura standard di 8 anni o 160.000 chilometri. La soglia dei 160.000 chilometri e dei 10 anni di vita è quella per cui si prevede un degrado della capacità delle batterie di circa il 20-30%, consigliandone comunque la sostituzione a prescindere dalla validità della garanzia.
Per valutare il costo di un’auto nella maniera più corretta vanno valutate tutte le componenti che costituiscono il “costo totale di possesso”, quindi non solo il prezzo di acquisto del veicolo, ma anche le tasse di acquisto o di possesso, i costi di rifornimento/ricarica, assicurazione e manutenzione e il deprezzamento nel tempo. Si può però, grazie ad un progetto finanziato dall’Unione europea, valutare il “TCO” (Total Cost of Ownership) dei veicoli.
In questo studio è evidenziato che il TCO per un’auto elettrica di dimensioni medie a partire dal 2020 è già il più basso, se paragonato alle altre tipologie di veicoli, per le auto di piccole dimensioni diventerà la tecnologia con TCO inferiore a partire dal 2024, mentre non sarà particolarmente conveniente per auto di grandi dimensioni, diventando comunque per il 2030 la tecnologia con TCO inferiore. Nel discorso dei prezzi rientrano ovviamente anche altri vantaggi economici, come gli incentivi all’acquisto e le esenzioni o gli sconti su tasse (bolli), parcheggi e transito nelle ZTL.
Per quanto riguarda la manutenzione ordinaria, i costi per le auto elettriche sono molto inferiori a quelli delle auto con motore a combustione. Infatti i motori elettrici hanno una meccanica più semplice e un minor numero di componenti da sottoporre a controllo e revisione. Diverso il caso di incidenti, dove i costi di riparazione potrebbero essere molto più elevati.
Secondo i dati di Autovista Group, le macchine elettriche hanno la percentuale maggiore di svalutazione rispetto a tutte le altre alimentazioni.
Mentre rivendendo un’auto diesel o benzina di circa 3 anni/60.000 km conservo più del 50 percento del valore del nuovo, nel caso del diesel quasi il 60 percento, rivendendo l’auto con motore elettrico si perdono circa i 2/3 del suo valore iniziale.
Anche i tempi medi per riuscire a rivendere un’auto elettrica sono più elevati rispetto a quelli delle auto con motore endotermico, circa 76 giorni, con un incremento medio di 14 giorni rispetto all’anno precedente.
In termini di vendite del nuovo, anche in quest’ultimo anno, le auto elettriche non raggiungono il 4% delle immatricolazioni, con un calo di quasi un punto percentuale rispetto all’anno precedente. Probabilmente senza i numerosi incentivi, il mercato dei veicoli elettrici sarebbe ancora più limitato, e finché non ci sarà un mercato del nuovo maturo, non si potrà avere una crescita del mercato dell’usato.
No. Il rumore delle gomme generato dal rotolamento dello pneumatico sull’asfalto può dipendere dalla tipologia di asfalto o di pneumatico, ma non dal tipo di alimentazione. In realtà il rumore delle gomme è maggiormente percepibile nelle auto elettriche perché il motore di tali veicoli è estremamente silenzioso. Un veicolo elettrico non dotato di motore a scoppio è praticamente del tutto silenzioso. Al posto di camere di esplosione, cilindri, pistoni e ingranaggi, l’energia viene fornita da una batteria.
La silenziosità dei motori elettrici è tale che per ridurre il rischio incidenti con pedoni e ciclisti a velocità ridotte (sotto i 30 km/h) l’Unione Europea ha introdotto una regolamentazione per veicoli elettrici che impone un minimo di 56 decibel a basse velocità, pari a circa il rumore di una lavastoviglie, oppure al leggero vociare. In media, i veicoli con motore a combustione a quelle velocità producono circa 65 decibel, che equivalgono alla confusione di un ristorante affollato.
Per maggiori informazioni e supporto gratuito (ANCHE a DISTANZA) non esitare a contattarmi.
p.a. Nunzio Costa